Equidistanze

Il cavaliere di Obenetto

Partenza: da Cividale

Cartografia: carta Tabacco al 25.000 "Valli del Natisone"

Giovedì 27 febbraio 2003, tempo bello.

Per una volta, lasciato a casa il fedele destriero, me ne vado da sola, in bicicletta, alla ricerca di un paesino dimenticato nelle valli del Natisone: Obenetto/Dobenje, m 536, il cui nome sembra derivi dalla parola slovena dob, quercia. Frazione di Drenchia, viene citato già nel 1327, e nel 1912 aveva 311 abitanti. La strada è lunga e tortuosa: da Cividale si deve innanzitutto andare a Clodig. Sventolano tantissime bandiere arcobaleno con le scritte PACE e MIR, anche dai campanili. Poi la strada continua nel fondovalle per Peternel. Si lascia a sinistra la strada per Paciuch, si sale verso Obranche e finalmente si gira a sinistra per Obenetto. La strada finisce nella piazzetta. Sotto di me un'anziana signora sta zappando un campo quasi verticale.

Sono venuta qui per vedere con i miei occhi, prima che l'incuria le faccia scomparire, alcune opere di Jacun Pitôr (Giovanni Meneghini di Nimis, 1851- 1935), il pittore girovago che lasciò tante sue opere di soggetto sacro e profano sui muri delle case friulane, chiedendo come compenso spesso soltanto il vitto e l'alloggio...in un fienile. Entro nel nucleo compatto di case che si stendono al sole a cavallo di un piccolo ripido crinale, alcune sono state restaurate di recente più o meno rispettosamente della loro antica tipologia. Sul grande abbeveratoio coperto, ormai senz'acqua, una pittura sbiaditissima e quasi sfaldata rappresenta San Quirino (?) attorniato dagli animali domestici. Poco oltre, in alto su un muro, una vera e propria quadrilogia "naif". Forse non sarà una capolavoro, ma conoscendo la storia del suo autore l'ingenuità delle figure è quasi commovente. Intorno alla Sacra Famiglia sono disposti, malamente coronati da una grondaia, San Volfango, San Floriano che spegne un incendio (dal campanile sembra trattarsi di Clodig) e San Martino. Quest'ultimo è rappresentato su un bianco cavallo con le orecchie rivolte all'indietro, in atteggiamento minaccioso.

Continuo oltre l'ultima casa su una strada sterrata larga, in dolce salita, piena di crocus, primule e bucaneve, che porta in breve a una vecchia latteria dove il tempo sembra essersi fermato: ancora all'interno, arrugginiti, secchi e attrezzi per la lavorazione del latte. Nel tepore della bella giornata, sulla costa esposta a sud, vedo perfino due farfalle: una cedronella e una vanessa. La strada continua fino alle poche case di Zavart, incontro una donna con un cestino di primule, sta andando al cimitero. Salgo su fino alla strada asfaltata e ne percorro un pezzetto fino all'osteria di San Volfango/Svet Stuoblank. Anche qui sventola la bandiera della pace. Un gallo canta a squarciagola, la porta è spalancata, vorrei entrare e scambiare due chiacchiere ma mi accorgo di non avere con me nemmeno un centesimo! Così non mi resta che ridiscendere a Obenetto per una diversa mulattiera che parte proprio sotto l'osteria (cartello): è bella, larga, in parte lastricata, mentre sulla carta Tabacco è segnata solo con una sottile riga nera.

Una decina di minuti e sono giù. Nella casa davanti al "cavaliere" un uomo spacca la legna cantando "Ora che sei rimasta sola", ma poi si rivolge a una donna in sloveno. Gli chiedo in quanti sono rimasti a Obenetto: 12 persone!