“Tutto il mondo è come/ immerso nell'azzurro/ tutto il mondo è/ azzurro e verde” Srecko Kosovel, Integrali, Sezana 2000
1 maggio 2004: la Slovenia, con altri 9 paesi, entra a far parte dell'Unione Europea e vengono abolite tutte le odiose pratiche burocratiche che rendevano quasi impossibile passare questi confini a cavallo. Non perdiamo tempo nel realizzare per l'estate 2004 un sogno lungamente rimasto nel cassetto: girare tutta quanta la Slovenia a cavallo, e precisamente seguendo un itinerario “random”, dettato dalla pura ispirazione del momento e senza punti fissi stabiliti in precedenza, alla scoperta di un paese di boschi e pascoli dove viaggiare a cavallo significa ancora essere in sintonia con l'ambiente che si attraversa. La civiltà contadina ancor viva e ben radicata permette di trovare facilmente quanto serve agli animali e si mostra aperta e ospitale nei confronti dello straniero che viaggia in un modo non molto convenzionale e soprattutto senza alcun mezzo d'appoggio che gli faciliti la vita.
Partendo da casa (Premariacco) il 30 luglio, non abbiamo in mente null'altro se non il confine da superare e una vaga traiettoria verso Est-Nord-Est. Intendiamo però tralasciare la zona più turistica del Parco nazionale del Triglav (Tricorno) perché impervia e non adatta ai cavalli, concentrandoci sulle parti meno note della Slovenia. Nelle sacche della sella l'intera collezione delle carte topografiche della Slovenia in scala 1:50.000 forma un pacchettino pesante ma indispensabile.
I nostri già supercollaudati compagni di viaggio sono Terek, un cavallo anglo-arabo-sardo di 12 anni, e Sebiba, una cavalla mezzosangue di 16 anni: sono loro la nostra principale preoccupazione perché per mantenerli in perfetta forma per tutto il viaggio dobbiamo trovare ogni sera un luogo adatto in cui fermarci e procurare loro il fieno e i cereali di cui hanno bisogno. In cambio loro non solo ci allevieranno le fatiche del viaggio ma ci faranno scoprire luoghi in cui mai capiteremmo in macchina e difficilmente in bicicletta, e ci faranno da tramite per conoscere persone che un normale turista non incontrerebbe mai. In sella, dunque!
Passato il confine al valico di seconda categoria di Mernicco/Golo Brdo già ci attende un'anteprima di quello che sarà il leit-motiv del viaggio: una quasi ininterrotta catena di viottoli, mulattiere, sentieri e strade bianche su cui percorrere decine di chilometri lontano dall'asfalto e dal traffico e senza incontrare praticamente anima viva. Siamo sulle pendici meridionali del Kanalski Kolovrat, quella lunga dorsale che divide la valle dello Judrio da quella dell'Isonzo/Soca e che digrada a formare le colline del Collio Sloveno/Goriška Brda. Sulla cresta bellissimi prati falciati e grandi alberi isolati, soprattutto tigli.
La prima notte la passiamo a Plave, sull'Isonzo: noi in tenda, i cavalli nel recinto del sig. Zdravko Drnavšcek che a tutti i costi vuole offrirci anche la cena nonché una serie quasi infinita di “taglietti” di Chardonnay del Collio.
Oltre il profondo solco dell'Isonzo, sempre avvolto al mattino in una nebbiolina bianca, si estendono verso Est due grandi altopiani: sono la Bainsizza/Banjšice più a Nord e la Selva di Tarnova/Trnovski Gozd più a Sud, divise dal vallone di Cepovan. Un itinerario escursionistico e ciclistico di recente segnalato (“La via dei Monti Sacri”) collega i santuari di Sveta Gora/Monte Santo e Marijno Celje/Maria Zell in Slovenia con Castelmonte/Stara Gora in Italia.
Passiamo per Grgar, un paese che ha molto charme mediterraneo in un paesaggio quasi istriano forse dovuto alle viti e alla moltitudine dei fiori nei giardini, e poi saliamo ripidamente sull'altopiano di Tarnova/Trnovo fino a Nemci, uno dei pochi paesi di questa fantastica selva selvaggia che abbiamo a nemmeno 50 km da casa in linea d'aria. Ogni volta che passiamo di qui non manchiamo di venir a salutare la signora Maria Strossar, che da vera mamma ogni volta ci prepara un buon brodo per cena (“fa bene quando si ha viaggiato tutto il giorno”) e un letto per la notte. Ci facciamo raccontare storie della famiglia di suo marito, boscaiolo come tutti i suoi avi per sette generazioni, fin da quando cioè l'imperatrice Maria Teresa d'Austria fece trasferire qui una colonia di tedeschi che diedero il nome al paese (Nemci significa appunto “Tedeschi”).
In una stanza che è quasi un museo conserva gelosamente una foto del suocero che, con un carro a cavalli, porta fuori dal bosco un tronco lungo dodici metri. Ma la trazione animale di un tempo non si limitava ai cavalli, come testimonia un ferro da bue arrugginito che troviamo per caso l'indomani su una delle tante strade sterrate che permettono di attraversare il cuore della Selva, dando l'impressione di vivere in un altro mondo, in una dimensione parallela. Ogni tanto una radura inondata di sole interrompe la fitta trama del bosco di abeti e di faggi: la più bella è senz'altro Mala Lazna, dove sorge un piccolo rifugio tutto di legno in cui vivono Zmago, un insegnante in pensione, e la moglie Suzana e sono disponibili a ristorare e a ospitare per la notte chi volesse fermarsi da loro.
Attraversata tutta la Selva diagonalmente, noi punteremo a Vojsko, poi a Oblakov Vrh e alla valle dell'Idrjica. Sono i posti raccontati da Giovanni Padoan “Vanni” nella parte finale del suo libro “Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al confine orientale”, qui c'è l'ospedale partigiano Pavla (in ricordo della dottoressa Pavla Jerina-Lah che lo dirigeva) e la tipografia partigiana “Slovenija”. Numerosi sono i monumenti e le lapidi che ricordano la lotta della resistenza slovena-jugoslava contro nazisti e fascisti, sovrastati da una stella rossa che si vede da lontano. Vojsko è un paese allungato che sparpaglia le sue case e fattorie su una dorsale prativa, tutta perfettamente falciata. Anche qui molte persone hanno abbandonato la montagna, ma c'è ancora uno zoccolo duro di contadini alpini che porta avanti la tradizione, magari integrandola con altre forme di reddito, prima tra le quali il turismo. Infatti gli agriturismi non mancano, e a differenza di molti loro omologhi italiani dove la parte “agri” è piuttosto pretestuosa, qui è l'azienda agricola a essere il vero fulcro mentre la parte ristorativa è un po' in secondo piano. Infatti la scelta del menù è minima, ma la qualità è ottima, la quantità è abbondante e il prezzo decisamente conveniente. Inoltre, cosa per noi fondamentale, i gestori vedono di buon occhio i cavalli e sono sempre disponibili a sistemarli in modo adatto. A Vojsko poi il gestore di “Pri Alicu” fa molto di più: quando un temporale improvviso fa calare le tenebre alle otto di sera mentre si leva un gran vento, prende in tutta fretta chiodi e martello e prepara di sua iniziativa un posto per legare i cavalli sotto la tettoia principale, praticamente di fronte al ristorante. Con gli equini al riparo possiamo gustare in tranquillità un grande piatto dizlikrofi, i locali ravioli a forma di mezzaluna ripieni di pancetta, patate e erba cipollina. Arriva poi una compagnia di giovani e giovanissimi (!) con fisarmonica e chitarra sottobraccio: si mettono a suonare e cantare motivi popolari con molta grinta e a ballare in modo scatenato tra i tavoli del locale.
Lunedì 2 agosto il viaggio prosegue sempre su strade sterrate in mezzo a pascoli, alti alberi, fiumicelli, vecchissime fattorie isolate. Unico punto di incontro con l'asfalto Obrakov Vrh, subito attraversato e superato. Sbagliando strada arriviamo a Idrijske Krnice, un posto eccezionale dove i pendii falciati rivelano le loro forme irregolari e creano un effetto straniante, quasi fossero non reali ma un plastico per un gioco di bambini.
Così la sera incombente ci coglie nel piccolo paese di Jagršce, appollaiato a 800 metri sulla valle dell'Idrijca con la sua grande chiesa bianca circondata dal cimitero. A fianco del campanile c'è un tiglio centenario che ombreggia una piazzetta con una fattoria-osteria vecchio stampo. Chiediamo alla signora Viktoria Rejc e a suo marito Pavle di darci una mano. Con l'ultima luce mettiamo la tenda sul prato davanti al cimitero, i cavalli legati tra due pali della luce, il fieno ce lo porta a più riprese la signora Viktoria con la gerla. Poi ceniamo con salsiccia (klobasa) e insalata su un tavolo rustico sotto il tiglio di 150 anni, avvolti dal profumo dei fiori tardivi e del fieno. E' davvero un angolo incantato, sospeso tra passato e presente. L'ospitalità è semplice e genuina. Durante la notte, la luminaria pirotecnica di un temporale lontano rischiara la tenda con bagliori intermittenti.
“Nel verde abbraccio dei pini/ un villaggio bianco, polveroso/ un villaggio sonnacchioso/ come un uccello nel nido sicuro delle mani” S. Kosovel, Pesmi/Poesie, Sezana 2000
3 agosto 2004: mattina presto a Jagrsce, alti sulla valle dell'Idrijca. Ci svegliamo immersi nella nebbia che ben presto si dissolve e nella luce chiara si rivelano catene e catene di basse montagne coperte di bosco con ampi pascoli dove immancabilmente vi è una grande fattoria che ci ricorda da vicino i masi austriaci e sudtirolesi. Tutto è coltivato, curato, falciato. Su pendii ripidissimi orti incredibili con una profusione di ortaggi e di fiori colorati. Facciamo colazione sotto il tiglio con caffelatte pane burro e miele domace (fatto in casa)pagando 600 SIT (1 Euro= 240 SIT), poi giù fino in fondovalle e di nuovo su sul versante opposto su questi che sono i rilievi di Škofja Loka ( Škofjeloško hribovje) e che culminano nel monte Blegoš, 1562 metri. Siamo proprio sull'estremo margine della Primorska, là dove confina con la Gorenjska, cuore della Slovenia, regione di montagne e laghi.
Il nostro itinerario è assolutamente casuale, e segue l'estro del momento e gli spunti che ci vengono dalle carte topografiche. Tra questi ci attirano innanzitutto gli spazi colorati in verde chiaro=prati, in quanto permettono ai nostri cavalli di rifocillarsi; analogamente ci interessano, specialmente verso sera, i simboletti con forchetta e coltello incrociati=gostilne, cioè trattorie. Quando capita che siano chiuse, per turno o per ferie, talvolta capita pure che qualche persona gentile, incuriosita dai cavalli, ci inviti tout court a casa sua e con estrema naturalezza aggiunga due posti a tavola. A Otalez per l'appunto è il signor Joze Seljak ci “adotta” e divide con noi un risotto con piselli e carote e una grande terrina di tegoline viola. Sua figlia Petra, 17 anni, fisico perfetto da ginnasta e dolce sorriso, anche se si schermisce parla perfettamente italiano che studia al liceo classico di Tolmino.
Da Otalez sulla sponda destra orografica dell'Idrijca una strada bellissima infila uno dopo l'altro come perle montagne arrotondate che alternano bosco sui fianchi e prato sulla sommità. Passando accanto alle fattorie l'insolito rumore degli zoccoli stuzzica invariabilmente tutti i cani di guardia a prodursi in una performance sonora adeguata alla circostanza. Resta da superare ancora il crinale principale prima di scendere verso Škofja Loka e la pianura della Sava: lo facciamo sotto lo Stari Vrh, m 1217, zona sciistica e quindi abbastanza turistica dove numerosi sulla carta sono i fiorellini rossi, simbolo degli agriturismi. Il paesaggio è sempre bellissimo: al mattino presto le sommità dei monti spuntano da un mare di nebbie e tutte le sfumature del verde luccicano al sole.
Prati, orti, campetti di fagioli, grandi peri, meli dai rami carichi di frutti, delizioso profumo di fiori e di fieno.Le fattorie e le case (molte delle quali in costruzione o in fase di ampliamento) sono quasi tutte curate e ben tenute, testimoniano di una radicata cultura alpina e contadina e inevitabilmente con l'uso del legno e le cascate di gerani alle finestre ci rimandano ai ben noti modelli austriaci. E' intensissimo il profumo dell'erba appena tagliata: ovunque gente al lavoro per la fienagione, con trattori e trattorini o, sui pendii più ripidi, falci e rastrelli. I pascoli e il bosco si alternano di continuo, si inseguono, si compenetrano. Nel bosco domina l'odore resinoso dei tronchi tagliati: anche il bosco viene intensamente curato e sfruttato. Il percorso è variato dalle luci che filtrano tra le fronde, il terreno è soffice, il sottobosco è coperto di felci, si vorrebbe che il sentiero non finisse mai.
A Cetena Ravan poco sotto lo Stari Vrh dormiamo in un agriturismo dove è stata preservata la vecchia Stube in legno risalente al 1799 con un'enorme stufa di maiolica, di quelle con sopra il letto per il paterfamilias. Il vecchio e il nuovo, la bellezza e la comodità sono amalgamati con molto buon gusto.
Anche qui, come in tanti altri posti, alle pareti vi sono, in cornice, i pizzi di Idria fatti al tombolo: molti raffigurano animali o piante - il gallo, il cervo, l'immancabile foglia di tiglio – ma altri, e sono i più belli, hanno motivi geometrici complessi come quadri di Escher. Dalla stanza in cui dormiamo sorvegliamo a vista i cavalli legati proprio sotto, davanti alla stalla delle mucche. La signora Dolenc, la padrona, che parla un fluente tedesco, ci dice che l'esodo dalle montagne è finito e ormai i giovani non vengono più attirati dalla città. Le strade sono buone ed è facile spostarsi per andare a lavorare nella capitale, come fanno il figlio e la nuora: in fin dei conti siamo a soli 40 km da Lubiana .
Giovedì 5 agosto arriviamo a Crngrob, frazione di Škofja Loka, praticamente in pianura. Qui si trova la chiesa di Sv. Marija, del XIV secolo, affascinante non solo per la sua posizione ma anche per gli affreschi sull'esterno (un grande San Cristoforo e la Santa Domenica, ovvero tutto quello che un buon cristiano deve fare o non fare alla domenica) e i quattro altari dorati all'interno. Piantata la tenda e lasciati i cavalli al sicuro, per andare in città ci attende una marcia di 4 km. Il nastro d'asfalto in questa calda sera estiva è molto vissuto: gente in bici, con i pattini, coppiette che passeggiano e mamme che spingono la carrozzina.La città vecchia, Stara Loka, è piena di stalle, come un paese di campagna, e solo il centro storico vero e proprio, oltre la Sora, affluente della Sava, ha un aspetto cittadino, anzi è un borgo medievale ben conservato, romantico e misterioso soprattutto al calar della notte.
Nei giorni successivi la nostra marcia prosegue con una più netta direzione Est. Aggirato Kranj e passato il ponte sulla Sava, entriamo nella regione della Stajerska, montagnosa e rurale al pari della Gorenjska. E' anche la regione in cui sono più diffusi i fienili chiamati kozolec, grandi strutture in legno dalle forme armoniose e perfettamente inserite nel paesaggio e che al viaggiatore a cavallo promettono riparo in caso di temporale improvviso, diventando così ancor più gradevoli alla vista. Nei tanti paesini che attraversiamo ogni casa ha una stalla, e anche questo particolare per noi non è indifferente. Evitare l'asfalto non è un problema e anche i brevi tratti inevitabili sono praticamente senza traffico. Il crinale sopra la valle del Tuhinj sembra fuori dal mondo, tanto più che è domenica e a parte le campane tutto tace. Non si incontra anima viva, eppure tutte le fattorie sono abitate, come testimoniano stalle, gerle, carri, oche e galline, tendine alle finestre, tanti fiori, enormi margherite. Durante una sosta sotto una tettoia per un temporale improvviso parliamo con il signor Martin che ci racconta di essere agricoltore ma di fare il camionista “per arrotondare”.
Percorriamo lungamente, stando alti sulla valle, tutte le pendici del massiccio del Menina, m 1508, propaggine meridionale delle Alpi della Savinia. Dappertutto stupendi masi: al nostro passaggio di solito si affacciano ragazzini curiosi e mamme con pargoli in braccio. E' sorprendente per noi vedere così tanti giovani vivere in montagna.
E' mezzogiorno in punto quando arriviamo a Slapi, 925 metri di quota, un meraviglioso pascolo con grandi alberi isolati. Alla fine della strada sterrata, un paio di case con fienili. Siamo fermi da poco, spaparanzati sull'erba, quando davanti alla casa si ferma un'auto, ne scende una giovane coppia con un bambino. Da lontano il ragazzo ci grida: “Zeinj so?” - “Hanno sete?” (i cavalli, naturalmente) e alla nostra risposta negativa entra in casa e poi viene da noi con una bottiglia e quattro bicchierini...un liquorino al mirtillo doma?e, giusto così per festeggiare il nostro breve, casuale passaggio nei suoi pascoli. Ma non è un caso raro, perché avremo molte altre occasioni per apprezzare la spontaneità dell'ospitalità slovena, patrimonio di vecchi e giovani.
La strada forestale fa mille ghirigori, salite, discese finchè sbuca sull'altopiano chiamato Dobrovlje. Sono ormai le sette di sera e vorremmo campeggiare sul crinale, nei prati accanto alla chiesetta di Sv. Janez, ma nell'arco di 15 minuti si scatena un gran temporale e due donne di una casa vicina si prendono a cuore la nostra sorte e ci accompagnano – incuranti del diluvio, con scarpettine di stoffa e due ridicoli ombrellini – a una fattoria dove ci sono altri cavalli. In quattro e quattr'otto i cavalli sono sistemati all'asciutto e con la massima naturalezza il signor Ramsak e sua madre accolgono nella loro casa i due bagnati viaggiatori, li rifocillano e offrono loro anche un letto per la notte.
“La foresta, dapprima austriaca, poi italiana, jugoslava e infine slovena, irrideva a quel mutare di nomi e di confini, non apparteneva a nessuno” Claudio Magris, Microcosmi,Garzanti 1998
Dal 10 agosto il nostro itinerario piega decisamente a Nord-Est per raggiungere la grande foresta del Pohorje: passato il ponte sulla Savinia a Letuš, le colline che formano la Ponikovska Planota sono un piccolo eden, dominato dalle alte guglie del santuario di Gora Oljka: prati, alberi stracarichi di frutta, soprattutto meli e peri, i primi vigneti. Ma le vigne durano poco, ben presto risaliamo in montagna. Passata Dobrna, stazione termale in stile austroungarico, saliamo sul Paski Kozjak, montagnozzo pascolivo tutto punteggiato da bellissime fattorie, ridiscendiamo a Vitanje e poi di nuovo in salita su a Pohorje. Le fattorie continuano fino a 1000 metri circa sul versante sud, poi... solo la foresta! Il Pohorje è un immenso altopiano boscoso, un massiccio compatto, dalle cime arrotondate e dai pendii poco ripidi, che si estende per ben 70 km a Sud del corso della Drava tra Slovenj Gradec e Maribor. Il bosco è costituito da abeti e da faggi, intersecato da numerose strade bianche e sentieri, costellato da laghetti e torbiere che costituiscono un sistema ecologico unico. L'acqua non scarseggia nemmeno sotto forma di ruscelli e ruscelletti. Qua e là si aprono ampie radure, che sono il bello del bosco ma che senza il bosco non esisterebbero.
Restiamo 2 giorni a vagabondare per il Pohorje, con il “campo base” in una radura erbosa, e la notte ci godiamo il cielo stellato e le stelle cadenti del 13 agosto.
Dopo una sosta da amici di vecchia data al paesino di Mlace, non troppo lontano da Celje, ci attende una giornata in compagnia di vari cavalieri sloveni che si avvicendano nel farci da guida. Liberi per una volta tanto dalla preoccupazione di consultare la carta topografica, e felici che a perdersi siano finalmente gli altri, possiamo goderci il paesaggio come si deve. Siamo non lontani dalle terme di Rogaška Slatina, al confine con la Croazia, nella regione chiamata Dolenjska, caratterizzata da colline, vigneti e foreste. Noi la attraversiamo verticalmente, in linea retta verso Sud. Dove passiamo non ci sono nemmeno paesi ma solo fattorie sparse, collegate tra loro da una rete fittissima di viottoli e di stradine. Per un tratto la nostra guida è una ragazza, Jasmina. Ha 17 anni, un fisico esile, un sorriso timido, ci viene incontro su una cavalla grigia seguita dal suo puledro e ci porta per prati e per boschi fino alla sua casa. E' una fattoria in cima a una collina, un posto incantevole con un grande tiglio e tutto intorno dolci colline con un paesaggio variato.
All'ombra dell'albero il posto è caldofresco e ci attende uno spuntino rustico con vino, pane e salame, il tutto ovviamente domace. Non è facile alzarsi per proseguire. Adesso però Jasmina ci lascia e passa il testimone a Vinko che in sella a Eros dopo alcune ore di cavalcata ci consegna nelle mani di Franci Zurej, agricoltore e oste di un locale genuinamente rustico in cui si sta festeggiando, fin dalle prime ore del pomeriggio, il compleanno di un arzillo settantenne. Franci ci dà sotto con la fisarmonica e l'allegra compagnia si scatena a cantare e a ballare, sia pur con le dovute pause per rinfrancarsi con cibi e bevande. Cerchiamo di defilarci ma siamo inevitabilmente coinvolti nei numerosi brindisi benaugurali e quando alle dieci di sera ci infiliamo nella nostra tendina, piantata su un morbido prato di trifoglio, la festa non è ancora finita. Il mattino seguente affrontiamo una robusta colazione con tè e caffè, dolci e affettati e uova, ma giunto il momento di pagare il signor Franci e sua moglie Anica si rifiutano di presentarci il conto. E' per simpatia verso i viaggiatori a cavallo, dicono.
Man mano che si scende verso la Sava aumentano sempre più i vigneti e abbondano le frasche e gli agriturismi vinicoli, che spesso hanno anche stanze per i turisti (ora nuove di zecca, ora stantie, ma sempre a prezzi più che ragionevoli). Se le stanze non ci sono non c'è alcun problema per mettere la tenda nelle immediate vicinanze e approfittare delle comodità offerte del ristorante. Lo stesso paesaggio si ritrova anche a Sud della Sava, e ora sulle carte topografiche i simboletti di grappolo d'uva si sprecano. Il vino che si beve più spesso è un rosso piuttosto aspro che si chiama cvicek.
Al mattino le cime dei colli spuntano dalla nebbiolina che avvolge tutto il paesaggio e il clima è piacevolmente fresco, per diventare decisamente caldo qualche ora più tardi. Vigneti, piccoli campi di mais, casette, giardini pieni di fiori,meli peri susini carichi di frutti, bosco, ancora vigneto, e così via per decine di chilometri su viottoli e stradine, e non ci si stanca di contemplare le mille sfumature del verde e il colore dei fiori. A Sud della Sava un altro limite naturale è costituito dalla Krka, un fiume dal corso lento e sinuoso.
Lo superiamo a Otocec, nelle vicinanze di Novo Mesto, la capitale della Dolenjska. Ma noi vogliamo puntare al Kocevski Rog, uno dei territori più selvaggi della Slovenia:è un altopiano ondulato,coperto da fitte foreste di abeti e di faggi, tipicamente carsico, con vaste doline e senza corsi d'acqua in superficie. La sua difficile accessibilità lo rese ideale rifugio per il movimento di liberazione nazionale sloveno nei lunghi anni della guerra.
Lasciamo la cittadina di Crnomelj e iniziamo a salire lungo la strada bianca inizialmente su colline punteggiate da casette per la vendemmia, poi in un bosco rado e caotico infine in una foresta decisamente fitta. E' appena passato mezzogiorno che veniamo attirati dal nitrito di un cavallo: poco oltre, in una piccola incantevole radura, vive in splendido ritiro il signor Mile con la moglie Maria. Non ha la luce elettrica, non ha il telefono, non ha il computer, l'acqua la attinge da un pozzo e la sua casetta da fiaba, tutta di legno con le imposte verdi con i cuoricini intagliati, se l'è costruita con le sue mani. Mile e Maria hanno lasciato Lubiana quando sono andati in pensione e non hanno alcun rimpianto. Qualche volta gli amici vengono a trovarli, più che altro – dice lui – per irridere alle loro scelte, ma loro se ne stanno in pace con altri tre esseri di sesso femminile: la cagna Ina, la capra Sofia e la cavalla Fiona. In realtà durante la buona stagione il posto non è poi così isolato, e d'inverno Mile usa gli sci per percorrere quei 7 km che lo separano dal paese di Koprivnik dove arrivano l'asfalto e lo spazzaneve e dove lui lascia la macchina.
Mile parla italiano perché è nato vicino a Nova Gorica, così volentieri ci lasciamo invitare a uno spuntino nel suo piccolo paradiso e ci facciamo raccontare le vicende dolorose della guerra e del dopoguerra. “Qui, proprio qui, c'era un piccolo paese di poche case e gli italiani lo hanno bruciato, si vedono ancora le macerie sotto la vegetazione. Siamo stati invasi da nazisti e fascisti nell'aprile 1941, l'11 aprile la Slovenia era già tutta occupata. La Germania si tenne le regioni del nord, quelle più ricche, la parte Sud fu annessa dall'Italia e fu creata la Provincia di Lubiana. Repressioni e deportazioni erano all'ordine del giorno, anche con l'aiuto dei domobranci, i collaborazionisti. Ma anche molti di loro finirono male: tutti quei cartelli con le croci che vedrete nel bosco, quelli indicano i luoghi dove vennero giustiziati i domobranci che gli inglesi consegnarono agli jugoslavi nel maggio 1945, in uno dei giochi crudeli di scambi che i signori della guerra fanno a tavolino.Ma voi di dove siete? Vicino a Udine? Ma lo sapete quanti civili sloveni furono deportati in Friuli e finirono nel campo di concentramento di Gonars?”
Chiediamo a Mile se anche dal Kocevje i civili siano stati deportati in Italia. “Ma allora voi non conoscete la storia dei kocevarji ...qui da 600 anni viveva una colonia tedesca, li avevano fatti venire dei signori feudali nel Medioevo. Erano contadini ma facevano anche i commercianti ambulanti di utensili in legno, e andavano in giro a venderli in tutto l'impero asburgico. Quella volta avevano anche le loro scuole in tedesco. Ma quando qui arrivarono gli italiani, quelli furono quasi costretti a optare per il Reich: in 20.000 vennero trasferiti a Brezice e Krsko, più a est, al confine con la Croazia, nelle case degli Sloveni che i tedeschi avevano deportato. Così qui più di 40 villaggi rimasero disabitati - oggi sono stati inghiottiti dalla foresta – e questo favorì i primi gruppi partigiani, che nel Rog si erano formati già nell'agosto del 1941. Nel maggio '42, quando vi era una grande zona liberata, il Rog divenne il cuore della resistenza slovena. Baza 20 era il suo centro operativo. Non è lontana, ci dovete andare assolutamente: non è altro che un gruppo di baracche di legno, ma nell'autunno 1944 ci vivevano quasi 200 persone, c'erano officine, scuole, ospedali, farmacie, tipografie. Vedrete, è rimasta quasi intatta.
E' nascosta in un profondo avvallamento, ed era così ben mimetizzata che non fu mai scoperta, nonostante ben 2 offensive tedesche, nel '43 e nel '45.” E che ne fu dei kocevarji, chiediamo. “Vennero considerati ovviamente nemici del popolo, molti fuggirono in Austria e da lì in America, molti altri morirono nel campo di concentramento di Strnisce. Oggi, dei tedeschi del Kocevje si è perso anche il ricordo”.
“Dal bianco villaggio bianche strade – e tutte quante conducono nel mio cuore” S. Kosovel, Poesie/Pesmi, Sezana 2000.
20 agosto: ascoltando il consiglio di Mile, mettiamo la tenda nella prossimità di Baza 20, il centro operativo dei partigiani sloveni ancora perfettamente conservato nel folto del bosco. Da qui percorreremo per giorni decine e decine di km su strade forestali, toccando solo paesi piccolissimi a grande distanza uno dall'altro. Ma non vi è pericolo di perdersi su queste bellissime strade, lisce e ben tenute, adatte anche alla bici, perché tutti i bivi sono segnalati con ecologici “alberi dei cartelli”, in una continua alternanza di foresta fitta e pascolo, popolato da mucche e cavalli.
Nel bosco oltre a abeti e faggi ci sono anche roveri, aceri, carpini, noccioli e tantissimi tigli. Nei pascoli, insolito arredo, sono numerose le vecchie vasche da bagno trasformate in abbeveratoio. Sic transit gloria mundi... strano destino di questi oggetti, che a suo tempo forse stavano in una casa borghese, e ora sono riciclati per il più rurale degli usi, mentre i cittadini raccolgono vecchi attrezzi contadini per abbellire le loro taverne e trasformano in fioriere i vecchi abbeveratoi di legno. Un simpatico cane vagabondo ci accompagna per molti km e insinuandosi sotto le recinzioni, approfitta di tutte le vasche che incontriamo per farsi un bel tuffo rinfrescante, mostrando di conoscerne, lui sì, il vero uso.
Dopo un temporale notturno il verde dell'erba è talmente intenso da far quasi male agli occhi. Con molto passo, qualche sorso di trotto e una goccia di galoppo percorriamo circa 40 km al giorno. E' così che guadagniamo domenica 22 agosto il paesino di Dane e il 23 il lago di Cerknica, un lago intermittente generato da fiumi sotterranei, che durante il periodo estivo rimane quasi del tutto senz'acqua e viene coltivato e usato come pascolo. E' strano sentirne già a distanza l'odore salmastro, vedere lo specchio d'acqua residuo coperto di ninfee, incontrare gente che va a pesca e bagnanti con sdraio e ombrelloni.
A Dolenja Vas l'agriturismo Kontrabantar è chiuso per ferie, ma il figlio della titolare ci accoglie ugualmente e ci propone di dormire su un carro con il quale di solito portano a spasso i turisti. Accettiamo di buon grado per non dover piantar la tenda ma abbiamo fatto i conti senza gli animali della fattoria: asini che riempiono la notte di ragli di sfida (diretti ai cugini equini), ocheschi schiamazzi e canti di galli con l'insonnia.
Martedì 24 agosto, ancora 40 km di strada forestale che aggira lo Javornik, m 1089, e poi scende su un grande inaspettato altopiano pascolivo dall'aspetto – per la prima volta – arido. Comincia la stagione della raccolta delle patate, si vedono ovunque nei campi i contadini indaffarati, i paesi sono sempre rurali, non è difficile al mattino incontrare donne anziane che portano la loro mucca al pascolo. Attraversata la stretta valle del fiume Reka, risaliamo su un crinale di colline dove la vista può spaziare libera d'intorno su altre colline e montagne. Questi rilievi dolci e tranquilli, una specie di balcone naturale, si chiamano Brkini e sono percorsi dal sentiero escursionistico per eccellenza della Slovenia, la cosiddetta Magistrala, che non a caso porta il numero 1 e che congiunge Maribor con le Alpi Giulie e con l'Adriatico. Qua e là paesi composti da poche case: Tatre, Orehek, Artvize. Ci fermiamo per una lunga sosta a Rjavce, nei pressi della chiesetta di Sv.Mavr, ai piedi di un enorme tiglio.
Ma è nell'agriturismo di Franz e Sonja Jelušic, a Slope, posto incantevole e tranquillo dove ci fermiamo per una sosta di un giorno, che veniamo a sapere più cose del significato che ha per gli sloveni il tiglio (lipa), questo albero maestoso, dalle foglie a forma di cuore, che per circa 60 anni cresce molto lentamente, poi con grande rapidità si sviluppa e vive molto a lungo. “Non è un albero sacro – ci dice Franz davanti a un buon bicchiere di vino Terano – ma importante sì: è il simbolo nazionale, emblema di ospitalità e democrazia. Abbattere un tiglio senza motivo è considerato qui da noi un grave delitto. Fin dall'antichità il tiglio è stato il punto focale di ogni insediamento sloveno: è sotto a un tiglio, posto nel centro del villaggio, che ci si riuniva per prendere le decisioni importanti intorno a un tavolo di pietra.”
Franz ci spiega che non bisogna confondere il tiglio femmina, lipa per l'appunto, con quello maschio, il lipovec: quest'ultimo ha le foglie più piccole. Poi Franz ci racconta la storia del grande tiglio piantato da suo bisnonno File: è una specie di nume tutelare che veglia sulla casa fin dalla sua costruzione. E poi ci sono quelli piantati a loro volta dal nonno e dal padre e i nove piantati da lui stesso, tutti a pochi metri dalla casa. Immaginiamo il delizioso profumo che deve esserci nell'aria in giugno e infatti Franz e Sonia hanno molti clienti affezionati che vengono a Slope appositamente quando i tigli sono in fiore.
Dopo una giornata di pioggia il cielo è perfettamente terso e così prima di risalire lentamente verso Nord e verso casa nel nostro itinerario non può mancare una puntata alla vetta dello Slavnik, m 1028 (noto a Trieste come monte Taiano), per il panorama sul golfo e sull'Istria. Il paesaggio subisce un radicale cambiamento: il bosco è ora di querce e carpini, nel sottobosco non più felci ma euforbie gialle e quei caratteristici cardi spinosi color turchese che si trovano dovunque sul Carso. A Bac attraversiamo la strada per Fiume/Rjieka, uno dei pochi punti in cui il nostro andamento lento e la dimensione della velocità si incrociano, e risaliamo in un territorio poco popolato e tutto fittamente ricoperto di bosco.
Lo Slavnik è un punto di incontro di tanti escursionisti a piedi e in bicicletta, che guardano con un certo stupore noi a cavallo. Ma ci sentiamo in buona compagnia, perché qui nonostante ci sia una strada non c'è nemmeno una macchina. La Tumova Ko?a poco al di sotto della vetta, che a onor del vero sembra più una stazione radio che un rifugio, è chiusa ma il gestore ha lasciato fuori a disposizione una tanica di acqua “za psi”, cioè per i cani. Peccato che non ce ne sia anche per i cavalli.
Scesi a Kozina comincia davvero un altro paesaggio, carsico e mediterraneo al tempo stesso. Alberi di prugne e mele convivono in stretta vicinanza con viti e fichi, nei cortili gli oleandri contendono lo spazio ai geranei, negli orti i pomodori soppiantano i cavoli. Le case colorate dai colori sbiaditi sono fascinose per la patina del tempo. In lontananza si alza il grande ciglione carsico di Socerb/San Servolo.
Il nostro itinerario si snoda lentamente verso Nord e verso casa. Nonostante la vicinanza di Trieste, il Carso/Kras è ancora profondamente contadino, così passando nei paesini si sente ancora l'odore di stalla e di fieno. La terra nei vigneti è rossa. Le case sfoggiano i caratteristici portali carsolini in pietra bianca scolpita: molti sono quelli vecchi ma altrettanti sono quelli nuovi con date del terzo millennio. Anche i paesi più “turistici” come Tomaj (con la casa di Srecko Kosovel), Kobdilj e Štanjel (con il suo campanile dalla cuspide arabeggiante) sono strettamente circondati da case contadine che si innestano quasi senza soluzione di continuità nel centro antico.
Ogni tanto anche una fontana, di cui il viandante senz'auto sa apprezzare ancora il refrigerio per umani e animali. Proprio qui incontriamo una famigliola di ciclisti svizzeri che si sta godendo una vacanza con andamento lento, addirittura più del nostro: la mamma con un carrettino-portabagagli al traino della bici, il papà e il figlio più grande su un bel tandem rosso fiammante con al seguito... beh, una specie di carrozzina-rimorchietto per il pupo più piccolo (1 anno) che se ne sta beatamente addormentato. I nostri eroi ci raccontano di essere partiti in bici da Graz e di essere in viaggio da ben tre settimane, con una media giornaliera di 20 km. Dormono in agriturismi e campeggi e sono assolutamente entusiasti della Slovenia perché è “verde, accogliente e pulitissima”. Ammiriamo il loro entusiasmo, il loro spirito di intraprendenza e le loro originali soluzioni di autosufficienza ciclistica.
Ci attende ora la lunga valle del Vipacco, fiancheggiato da alti pioppi, così lento da sembrare un lago. Stradine strette, pittoresche, fichi viti oleandri. Il nostro giro sta per finire, l'anello sta per chiudersi. La penultima tappa è a Vitovlje, alle pendici della Selva di Tarnova, dove siamo ospiti di un esuberante e simpatico cow-boy locale, Dusan Vetrih.
E poi ancora una notte a Plave, e martedì 31 agosto, sotto un gran temporale, siamo di nuovo a casa. Peccato, perché, come dice il poeta, “sarebbe bello/ vagare tutta la vita / per verdi selve /senza fermarsi”.
Cartografia: La Slovenia è completamente coperta da buone carte topografiche in scala 1:50.000 pubblicate dal Geodetski Zavod Slovenije, Zemljemerska ul. 12, 1000 Ljubljana, e-mail gzs-dd@gzs-dd.si Sul retro le carte riportano utili informazioni turistiche ed escursionistiche anche in italiano.
Bibliografia: Guida Lonely Planet “Slovenia”, ed. EDT Torino; Durissini-Nicotra, “Itinerari del Carso Sloveno”, ed. Lint Trieste 1999.
Su Internet: www.slovenia-tourism.si è il sito ufficiale dell'Ente del Turismo Sloveno e contiene anche numerosi itinerari in lingua italiana con proposte interessanti e originali. Vi si trova anche un elenco completo degli agriturismi.